03/03/2017
Un tempo le abitazioni erano molto diverse da quelle attuali: esigenze diverse, nuclei famigliari spesso numerosi ma sopratutto tecnologie che ancora non erano state inventate o, per lo meno, non avevano trovato larga diffusione. I borghi italiani spesso si caratterizzano per curiose soluzioni che l'ingegno umano riusciva a inventare per adattare ciò che aveva alle proprie esigenze, come nel caso di Moliterno.
La casa moliternese era costituita da due ambienti importanti, solitamente posizionati sullo stesso piano, che venivano denominati “a casa” e “a càmmara”. “A casa” era quella che oggi chiamiamo sala ed era arredata in maniera da mostrare agli ospiti il meglio che la famiglia poteva permettersi; dominava la scena una credenza con i vetri, “a vitrina", oppure un mobile chiamato "stipu tunnu", realizzato da artigiani locali, e infine non potevano mancare un tavolo e delle sedie. Questo ambiente, quando c'era, era tassativamente vietato ai bambini per i loro giochi.
"A casa" si collegava, attraverso un arco, con la "fucagna", dove troviamo un grande camino accanto al quale vi era sempre uno stipo a muro con le ante in legno contenente pentole, piatti, i bicchieri e le spezie utilizzate per le pietanze che si cuocevano solitamente sul fuoco. Solo nelle case delle persone abbienti troviamo una vera cucina con le fornacelle incassate all'interno. Nella "fucagna" veniva sempre ricavata "l'alcova" ed accanto al fuoco vi era sempre un tavolo piccolo, "o tavulinieddu", con un piano che si apriva e veniva utilizzato, soprattutto d'inverno, per pranzare accanto al fuoco.
La "càmmara" è la camera da letto dove solitamente dormivano i figli più grandi. L’abitazione moliternese si differenzia da quelle dei paesi limitrofi per "l'alcova", piccolo spazio ricavato nella muratura nel quale si collocava un letto ad una piazza e mezza utilizzato dalla coppia, con la caratteristica di essere caldo d'inverno e fresco d'estate. Nella parte alta dell'alcova veniva posta una culla sospesa che in dialetto veniva chiamata "cancieddu” nella quale riposava l'ultimo nato; essa era agganciata a dei perni in ferro con delle corde per mezzo delle quali i genitori potevano cullare comodamente il bambino senza doversi alzare. Accanto all'alcova, di notte, veniva posta un'altra culla bassa, “a sporta”, adatta al bambino poco più grande; questa di giorno si poteva cullare anche con il piede, magari mentre si era seduti accanto al fuoco a ricamare o rammendare dei tessuti.
Nella soffitta, alla quale si accedeva attraverso una scala in legno, vi era solitamente la madia ed il forno a legna dove settimanalmente si panificava. In essa, nella parte bassa, si conservava inoltre la legna e le derrate alimentari raccolte in campagna che rappresentavano le provviste per l'inverno.
Le abitazioni, almeno fino agli inizi del novecento, mancavano di servizi igienici per cui i vari liquami venivano raccolti di notte da un addetto specializzato che passava per le vie con una botte trainata da un mulo per dopo svuotarla negli orti oppure in luoghi selezionati all'uso.